Tag Archivio per: psicologia

In questo articolo vediamo insieme cos’è il fenomeno del ghosting del paziente e cosa implica sull’andamento della psicoterapia.

In termini scientifici definito “drop out”, questo fenomeno si riferisce all’improvviso abbandono della terapia da parte del paziente, quindi prima che vengano raggiunti gli obiettivi che ci si pone all’inizio di un percorso terapeutico.

Nella mia esperienza, il drop out si verifica in diversi modi:

  • la persona inizia a inventare scuse per posticipare sempre di più le sedute o rendere impossibile fissare un nuovo appuntamento (il tutto comunicato via cell);
  • la persona non si presenta allora e al giorno indicati e smette di rispondere a telefonate o messaggi del terapeuta;
  • la persona disdice l’appuntamento e comunica “avviso io quando potrò prendere un nuovo appuntamento” e sparisce.

Questo fenomeno si verifica solitamente nelle fasi iniziali della terapia, ma può avvenire in qualsiasi momento del percorso, per una serie di cause.

Vediamone alcune:

1. La paura del cambiamento: la persona si spaventa perché percepisce che non sarà un percorso facile né indolore e inoltre contatta la paura di poter cambiare alcuni equilibri;

2. La paura di sentirsi giudicati da chi si ha di fronte e di non reggere questo confronto, anche se uno dei capisaldi della psicoterapia è il non giudizio (ma qui entra in campo il giudizio interno che la persona ha di sé);

3. La paura di sentire dolore o di perdere alcune parti di sé;

4. Possono entrare in gioco meccanismi di difesa o resistenze alla terapia o rispetto ad alcune tematiche che si stanno affrontando, per cui la persona preferisce scappare;

5. Incomprensioni con il terapeuta, ad es non mi sento a mio agio, o mi sono sentito offeso. In questi casi è sempre bene comunicare come ci si è sentiti, se ci sono delle difficoltà, perché può essere un ottimo momento di confronto e di riaggiustamento del percorso e della relazione terapeutica;

6. La persona nutriva nella terapia aspettative diverse prima di cominciare: a volte ci si affida al terapeuta pensando che lui possa fornirci la risposta pronta e in breve tempo, altre volte la risposta che ci dà non è quella che vorremmo sentire;

7. La persona può semplicemente sentire di non esser pronta o di aver esaurito il suo tempo in terapia, ma manca il coraggio di dirlo apertamente.

Ma come si sente il terapeuta di fronte a questo comportamento?

Disorientato, dispiaciuto, frustrato.
Quella tra terapeuta e paziente è una vera e propria relazione. 
Dove anche il terapeuta, come il paziente, mette molto di sé all’interno di questa relazione.
Nel mio approccio in particolare, il terapeuta si mostra per ciò che è, in modo autentico, umano.
 
Quindi non è difficile capire cosa possiamo provare quando una persona che abbiamo iniziato a seguire se ne va all’improvviso.

Una riflessione che faccio spesso è: quanto può essere difficile comunicare le nostre intenzioni? Quanto è grande la paura di trovare l’altro in disaccordo o di comunicare un disagio? Quanto questo comportamento viene messo in atto anche fuori dalla relazione terapeutica? 

Non per ultimo, com’era la qualità della relazione, se uno dei due se ne va in silenzio?

Quanto risuona tutto questo anche nelle nostre relazioni di vita? 

In ultimo ma non meno importante la questione del rispetto. 

Il rispetto del contratto terapeutico, che è sì quello che il cliente firma all’inizio del percorso, ma è legato anche al rispetto del tempo e dello spazio della seduta, un tempo che la persona paga e che il terapeuta dedica appositamente a lei.

Qualora si verifichi una disdetta, o peggio un dare buca, senza preavviso quell’ora è persa per entrambi. Non solo: viene tolta ad un’altra persona che poteva usufruire di quell’ora. Quindi si tratta anche di rispetto dell’altro e del lavoro dell’altro, che potete ben capire, perde un guadagno (perché sì, anche noi psy lavoriamo per il pane!).

Solitudine: parola tanto amata quanto temuta da molti. In questo articolo proviamo a fare insieme una riflessione.

“A volte ho la sensazione di essere solo al mondo. Altre volte ne sono sicuro”. Charles Bukowski

Quante volte abbiamo provato questa sensazioni nel corso della vita? Almeno una volta forse tutti noi.

“E’ nella solitudine, scevra da ogni sorta di condizionamento, che ognuno di noi può ritrovarsi e conoscere appieno se stesso”. Michele Scirpoli

Quante volte invece ci sentiamo così? Forse meno.

Nella mia esperienza di lavoro con le persone, ho osservato che esiste una solitudine oggettiva e una solitudine percepita.

  • Quella oggettiva è facile da riconoscere, è data dall’assenza di persone attorno a noi;
  • Quella percepita è più subdola, invisibile.
    È quella di chi si sente da sol* anche in mezzo agli altri, soprattutto amici, parenti, partner.

La prima non è per forza negativa, a seconda della nostra storia, del nostro carattere, possiamo vivere bene anche senza un gran numero di persone attorno.
Un po’ della serie “meglio soli che male accompagnati”. D’altro canto, a questa categoria di persone appartiene anche chi purtroppo non ha rete o punti di riferimento su cui contare.

La seconda, l’abbiamo detto, può essere molto dolorosa e scavare profonde ferite dentro l’anima di chi la prova. In questi casi ci si può sentire diversi, difettosi, mancanti rispetto agli altri.

Ma c’è un terzo tipo di solitudine a mio avviso: Quella scelta.


È quella di chi sceglie la solitudine come piacevole bisogno, per esempio per decomprimere dopo una giornata in mezzo alla gente, oppure perché adora godere di momenti per stare solo con se stess*, per fare un’attività in solitaria o semplicemente fermarsi e ascoltarsi. Questo tipo di solitudine è spesso frutto di una scelta e di un buon lavoro interiore e di consapevolezza, che ci aiuta a capire che la solitudine non è qualcosa da temere, ma anzi, spesso può essere salvifica.

Per le persone altamente sensibili, in particolare, avere momenti di solitudine è necessario per decomprimere lo stress delle giornate della socialità, della routine. Purtroppo spesso queste persone finiscono per sentirsi diverse e incomprese però, in particolare da chi concepisce la solitudine come qualcosa di negativo.

Per quanto mi riguarda, io sono questo terzo tipo di persona. Sebbene durante l’infanzia e l’adolescenza io l’abbia sperimentata più nella seconda forma, quella percepita (per poi capire che così non era affatto). Mi sentivo strana perché mi sentivo sola in mezzo alla gente, come se fossi io quella sbagliata.

Ma crescendo e lavorando su di me, ho capito sempre di più che non c’era nulla di sbagliato e che la solitudine è un mio bisogno, che non sempre viene compreso, specie da chi vive la solitudine come qualcosa da cui fuggire.

Per me è fondamentale e del tutto sano dedicarsi dei momenti di solitudine.
Oggi la scelgo, non la subisco affatto.
Mi rende felice e sai, anche più pronta e aperta verso l’altro quando sola non sono.

👉 E tu che tipo di solitudine vivi?
Raccontamelo qui se ti va.

Conosciamo l’Assertività.

Con il termine Assertività si intende «un comportamento che permette a una persona di agire nel proprio pieno interesse, di difendere il proprio punto di vista senza ansia esagerata, di esprimere con sincerità e disinvoltura i propri sentimenti e di difendere i propri diritti senza ignorare quelli altrui» (Alberti e Emmons, 1970; Smith 1975).

Ovvero è la CAPACITA’ DI:

  • esprimere i propri desideri, bisogni ed emozioni;
  • difendere i propri diritti;
  • manifestare le proprie critiche.

COME?

In modo:

  • onesto;
  • diretto;
  • chiaro;
  • rispettoso.

Assertività è quindi sinonimo di Auto-Affermazione.

Tutti noi abbiamo dei livelli di assertività, che si esprime nelle diverse aree della nostra vita: familiare, scolastico, lavorativo, affettivo e sociale.

Nel relazionarci nel mondo esterno, possiamo adottare tre tipi principali di comportamento:

  • Comportamento passivo: tipico di chi tede ad inibire le proprie emozioni, a mettere a tacere i propri bisogni, a scusarsi eccessivamente ed essere sempre accondiscendente, per paura di perdere l’approvazione o l’affetto altrui. alla base di questo comportamento possono esserci una bassa autostima, la paura del conflitto o di esporsi, la paura del giudizio, il senso di colpa. Il risultato sarà una difficoltà nell’espressione chiara di sè, con una tendenza a mettersi sempre in secondo piano, per paura di far sentire la propria voce. E se ci pensiamo bene, in queste persone il tono di voce è molto spesso pacato, insicuro, basso. La postura indica insicurezza, passività.
  • Comportamento aggressivo: tipico di chi riesce ad ottenere ciò che vuole a spese dell’altro, rovinando il rapporto, prevaricando, non tenendo conto del parere o delle emozioni del suo interlocutore. Chi agisce così non ammette mai di aver torto e può arrivare ad offendere e screditare gli altri, arrivando perfino all’aggressività verbale e/o fisica. E’ ostile, irritabile, non chiede scusa, tende ad aver bisogno di alzare la voce e usare la prepotenza per farsi ascoltare.
  • Comportamento assertivo: tipico di chi riesce ad esprimersi in modo socialmente adeguato, senza imbarazzo, paura o senso di colpa, senza aggredire l’interlocutore. La persona assertiva agisce per difendere i propri bisogni e opinioni, senza mancare di rispetto a se stessa è all’altro. Mantiene una buona opinione di sé anche quando non riesce a raggiungere il suo obiettivo. Questo tipo di comportamento si pone a metà strada fra il passivo e l’aggressivo. E’ la giusta via di mezzo.

Puoi considerarti assertivo se:

  • riesci a riconoscere ed esprimere i tuoi, desideri, emozioni ed opinioni senza paura;
  • sei onesto con te stesso e con gli altri;
  • vivi le relazioni in modo aperto e disponibile;
  • rispetti te stesso e la tua salute psico-fisica;
  • accetti il punto di vista altrui;
  • ti astieni dal giudicare;
  • sei pronto a cambiare opinione;
  • non permetti agli altri di manipolarti;
  • eviti di manipolare l’latro;
  • hai una buona autostima.

Ti rivedi in queste caratteristiche o in alcune?

Se no, non preoccuparti, la buona notizia è che l’assertività si può migliorare!

Come?

Spunto pratico: Inizia ad osservarti nelle varie situazioni di vita, come se ti guardassi dall’esterno. Sentiti nel tuo corpo.

Perchè?

Perchè il comportamento assertivo si esprime anche attraverso il corpo e il linguaggio non verbale, oltre alla padronanza che abbiamo delle nostre emozioni e del linguaggio.

Come ti senti nel tuo corpo quando ti esprimi? Che postura assumi quando cerchi di spiegare le tue ragioni o idee agli altri? Assumere una postura che indica timore, sottomissione, passività, dà un messaggio debole al nostro interlocutore, un messaggio di insicurezza rispetto alla nostra verità, che può quindi essere attaccata e screditata o non considerata. Questo si ripercuote sulla relazione che abbiamo con quella persona (di qualunque natura essa sia), sia sulla nostra credibilità. Vuoi che arrivi questo a chi ti ascolta?

Esercitati davanti allo specchio: spalle dritte, sguardo fisso e prova a parlare per dire qualcosa di importante per te. Registra tutte le sensazioni che senti, e mantieni la postura finchè non hai finito. A volte fare piccoli cambiamenti può fare una grandissima differenza!